«Non possiamo più permetterci il lusso di dirottare la maggior parte delle risorse a nostra disposizione nell’attività di banca d’affari e nei derivati». John Cryan, banchiere inglese di lungo corso, da meno di un mese alla guida di Deutsche Bank, ha aspettato qualche settimana prima di emettere questa sentenza in una dura lettera ai dirigenti. “È inutile negarlo – si legge tra l’altro – la nostra reputazione ha subito grossi danni. E ci vorrà un grande lavoro per ricostruire un clima di collaborazione con i regolatori”. Altro che Trojka.
Cryan ha carta bianca da parte di Angela Merkel e del ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble che gli hanno affidato una missione da far tremare i polsi: disinnescare la bomba ad orologeria dei derivati seppelliti nei bilanci dell’istituto simbolo della finanza d’oltre Reno, un incubo che pesa sulle sorti della Repubblica Federale. Vediamo perché.
L’ammontare degli strumenti derivati in mano all’istituto, secondo l’analisi compita nel settembre scorso dall’americana Zerohedge (ma la situazione, al limite, può essere solo peggiorata) si aggira su una cifra astronomica: 54.700 miliardi di euro, non invidiabile record mondiale, pari a venti volte il prodotto interno lordo tedesco e a cinque volte quello dell’eurozona. Per carità, non si tratta di un debito o di un’obbligazione a perdere. A fronte di questo tipo di operazioni, tipiche dei grandi istituti di importanza sistemica, ci sono controparti, per lo più bancarie. Deutsche Bank, insomma, ha venduto, attraverso i derivati, protezione finanziaria ad altri istituti impegnati in operazioni a rischio. Un po’ come fece a suo tempo l’americana Aig che fece da controparte alle operazioni inanzarie di Goldman Sachs, Merrill Lynch e così via, finendo sull’orlo del fallimento durante la tempesta Lehman Brothers. Quello che, probabilmente, potrebbe accadere nel caso di un tracollo finanziario di analoga potenza che potrebbe essere innescato dalla crisi greca.
In sintesi, la scelta tedesca del 2011/12 di salvare le banche trasferendo i crediti dagli istituti privati agli Stati (Italia compresa) aveva una motivazione precisa: evitare ad ogni costo che si potesse scatenare un effetto domino in grado di colpire il cuore della finanza tedesca, già impegnata nel costoso salvataggio di Commerzbank. Il problema si ripropone, in maniera più grave, oggi. Negli ultimi anni Deutsche Bank ha accresciuto la scommessa sulla finanza innovativa (e, sulla carta, più redditizia). Intanto, per far fronte ad un bilancio sempre più esagerato, la banca ha assorbito tre aumenti di capitale e ha in pratica divorato gli sportelli della Post Bank, acquisita dalle Poste grazie al sostegno del governo. Ma, soprattutto, l’obiettivo di recuperare posizioni, ha spinto i vertici dell’istituto a spingere i traders ad impegnarsi nelle attività più rischiose e spesso illegali. Deutche Bank è stata condannata sia per la manipolazione del Libor che del mercato dei cambi, per citare gli ultimi scandali. E’ troppo anche per la Merkel, anche perchè i depositi della Deutsche Bank rappresentano solo un centesimo di questi 55,6 trillioni di prodotti derivati… Cipro non è nulla al confronto.
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