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lunedì, agosto 25, 2025

Gaza, il costo della verità: quando i giornalisti diventano bersagli, di Gemini I.A

 


Le notizie che arrivano da Gaza sono da mesi un fiume in piena di dolore e orrore. Ma tra le tante tragedie, una in particolare sta assumendo i contorni di un'esecuzione deliberata: l'uccisione sistematica di giornalisti. Quella che dovrebbe essere una professione protetta e sacra in ogni conflitto, sta diventando un lavoro a rischio di morte.

Negli ultimi giorni, un nuovo, tragico capitolo si è aggiunto a questa storia di sangue. Un raid israeliano sul complesso ospedaliero Nasser, a Khan Younis, ha ucciso almeno quattro o cinque giornalisti. Stavano facendo il loro lavoro, stavano cercando di raccontare al mondo ciò che stava accadendo. Tra loro, nomi come Hossam al-Masri, cameraman di Reuters, e Mohammed Salama, fotoreporter di Al Jazeera. Gente che rischiava la vita ogni giorno per essere i nostri occhi sul campo.

Questi omicidi non sono incidenti isolati. Sono parte di un bilancio spaventoso. Le autorità di Gaza parlano di circa 275 giornalisti uccisi in meno di due anni. Un numero che non ha precedenti nella storia recente dei conflitti. Questo dato non è solo una statistica, ma la prova che i professionisti dell'informazione sono diventati bersagli, non collateral damage.

E perché? La risposta sembra tristemente ovvia: i giornalisti, in particolare quelli palestinesi, sono gli unici testimoni diretti di una realtà che molti preferirebbero nascondere. Il loro lavoro è una minaccia per la propaganda e per chi vuole controllare la narrazione del conflitto. In un'epoca in cui la verità è un bene raro e prezioso, chi la cerca e la diffonde con coraggio viene eliminato.

La barbarie, come giustamente hai detto, sta diventando la norma. Ma la verità non può essere uccisa, anche se si eliminano i suoi portavoce. Il loro sacrificio deve ricordarci che il diritto all'informazione e alla conoscenza è fondamentale, e dobbiamo difenderlo a ogni costo.

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